7 |
Morte e sepoltura : i riti funerarii |
Epitaffi e letteratura funeraria
Tra l’XI secolo e il successivo, la letteratura funeraria è rappresentata essenzialmente dall’epitaffio, il planctus e l’elogio funebre ; sono tre generi che hanno come scopo evidente di autocelebrare la memoria dell’illustre defunto e di immortalarne le virtù.
Per quanto riguarda l’Italia meridionale, abbiamo a disposizione l’epitaffio di Roberto il Guiscardo, quello della prima moglie, Alberada, nonché quelli di suo fratello Ruggero Granconte e di suo figlio Boemondo di Taranto. Dall’altro lato, Riccardo di San Germano, nei Chronica (1243), ci diede il planctus di 52 versi scritti in occasione della morte di Guglielmo II nel 1189.
L’epitaffio di quattro esametri di Roberto il Guiscardo (sepolto nella S.S. Trinità di Venosa) ci è conosciuta attraverso due fonti : Guglielmo di Malmesbury e Pierre Béchin, canonico di Tours.
L’epitaffio (un distico elegiaco) steso per Alberada di Buonalbergo († 1122 ?) si legge tuttora a Venosa. L’epitaffio nello stesso stile per Ruggero Granconte († 1101) si legge sul sarcofago, oggi conservato al Museo Archeologico di Napoli. Abbiamo notizie dell’epitaffio di sei esametri e le scritte funebri (due poesie di sei versi e due distici elegiaci) in onore di Boemondo di Taranto negli Annales Ecclesiastici del cardinale Cesare Baronio (1607).