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Signoria e feudalità

Il dirìtto e la consuetùdine
I tratti peculiari della "Coutume" di Normandia fino alla metà del XIII secolo

Al territorio nato come Normandia all’inizio del X secolo, vennero donate dai suoi potenti duchi delle istituzioni pubbliche, la cui spiccata originalità dimostrava oltre un secolo di anticipo su quelle del potere reale.

Per quanto riguarda l’uso consuetudinario chiamato la "Coutume", ossia il complesso concettuale capace di regolare i rapporti individuali, essa apparve nell’ambito di questo grande stato feodale unificato come il primo sistema di tutti quelli del regno. In mancanza di fonti abbastanza esplicite, la maniera in cui si svolse il procedimento di formazione primaria rimane oscura ; sappiamo solo che quando si insediarono i Vichinghi, la popolazione indigena seguiva consuetudini giuridiche relative al diritto franco abbastanza mitigate, le quali rimanevano aperte all’influenza indubbia dei costumi scandinavi. È dunque in base a questa serie di consuetudini più o meno oscillanti, e comunque, anche più o meno regolate dal forte potere giuridico ducale, che poterono emergere, durante la seconda metà del regno di Guglielmo il Conquistatore (1037-1087), alcuni principi che vennero espressi, e quindi ripetuti durante il XII secolo negli atti giudiziari ; allorquando vennero rivelati per la prima volta in quanto precetti imperativi, essi erano infatti frutto di una lenta maturazione durata tre secoli.

In quel modo fondata e stabilizzata – cristallizzatasi – in maniera molto precoce, la "Coutume" venne stesa, anche più presto che altrove, in due testi di uso consuetudinario (" coutumiers ") redatti successivamente ; sono opere private, stese in latino da giudici per il loro proprio uso, e quello dei colleghi : il Très ancien coutumier (1200-1245) e quindi, soprattutto, la Summa de legibus Normanniae in curia laïcali (1235-1245), opera di notevole interesse, per il suo schema, e nelle sue qualità di chiarezza come di grande rigore. La precocità della cristallizzazione della consuetùdine  normanna ha una grandissima importanza nel senso che giustifica l’esistenza dei principali provvedimenti ; essi rimarrano immutati fino alla Rivoluzione Francese e fin dal XIII secolo è possibile delinearne un panorama suggestivo attraverso i suoi due tratti prevalenti.

Il primo tratto saliente è la fortissima influenza esercitata dal feodalesimo su questo diritto. Essendovi misti feudo e giustizia, il signore feudale vi gode di tutti i diritti che altrove spettano al signore alto giustiziere (mancanza di eredi, eredità vacante, confisca edilizia, albinaggio e bastardaggine, banalità e soprattutto custodia della persona come dei beni degli orfani dei suoi vassalli, istituzione tanto particolare che giova pienamente al signore in quanto ne diventa custode). Questa feodalizzazione all’estremo si esprime anche perfino nella denominazione delle terre : ognuna è chiamata con il vocabolo feodum, con conseguente precisazione sociale riguardante l’omaggio dovuto dal titolare ; allo stesso modo, a quell’epoca, la "Coutume" è potuta registrare, come sembra evidente, soltanto le consuetidini già in atto nella classe superiore - ancora priva di valenza connotativa nobiliare – e le ha estese alla popolazione intera, sicché in diritto normanno non si conosce alcuna differenza tra le regole a seconda dell’origine sociale degli individui : la legge è uguale per tutti. Infine, è la quota del terzo (la terza parte che il vassallo può staccare dal feudo senza nuocere al signore) che ha segnato la disponibilità famigliare nel campo matrimoniale e successorio (ad esempio, 1/3 alla vedova, 1/3 successorio delle figlie, dei figli minori, etc…).

Il secondo tratto significativo può individuarsi nell’importanza conferita alla famiglia, la cui sopravvivenza costituisce la preoccupazione maggiore nel succedersi delle generazioni. Il lignaggio è il perno centrale del sistema successorio. In relazione al gioco della rappresentazione all’infinito e della parentela, l’eredità scende (" come pesi ") fino ai rami più recenti ; in mancanza di eredi in una stirpe, i beni che necessariamente gli spettano non possono in nessun caso venire raccolti da parenti estranei a quella stirpe.

La devoluzione è dominata da due principi. Il primo è l’esclusione delle figlie in quanto incapaci di assicurare la trasmissione del patronimico famigliare nonché di mantenere i possedimenti in seno al patrimonio tramandato dagli antenati. Benché siano in grado di succedere, esse vengono praticamente escluse dalla successione non appena si presenta un solo fratello.
Il secondo principio da evidenziare è la fortissima mascolinità e, inoltre, la posizione prevalente e privilegiata del fratello maggiore il quale, di fronte al signore e agli estranei, rimane nel campo dei feudi (indivisibili) l’unico erede in virtù della straordinaria istituzione del parage. Tuttavia, con il sistema dei compensi, la tendenza all’uguaglianza tra fratelli è indubbia, ed è vietato al padre favorire uno dei figli riguardo agli altri.

Esistono infine delle regole rigorose per la conservazione in seno alla famiglia degli héritages (case ricevute in successione o proprie). Vanno citati ad esempio il divieto dei lasciti di abitazioni, la riserva dei 2/3 anche nel caso di donazioni tra vivi, il prelievo del lignaggio applicato anche anche agli acquisti, etc…

Per quanto riguarda il regime matrimoniale – chiamato in seguito " dotale " - esso rappresenta il provvedimento più originale della "Coutume" che, fino alla Rivoluzione Francese, rimane l’unico sistema a vietare assolutamente la comunione di beni fra coniugi, regime invece in uso ovunque fuori della Normandia. Le figlie possiedono un solo diritto, quello di ricevere un marito trovato dal loro padre ; comunque, egli può non procurar loro alcun maritagium (dote), o dividere tra tutte le sue figlie soltanto la terza parte dei beni. Un’orfana può ricevere da suo fratello (o dai suoi fratelli) soltanto un matrimonio " addizionale ", sotto condizioni strettissime. Il marito gode di un’autorità particolarmente rigida sulla sposa diventando proprietario di tutti i mobili e acquisti avvenuti durante lo sposalizio, nonché usufruttuario dei beni propri della sposa, ricevuti da lei nella dote o in successione. Questi beni vengono tuttavia protetti rigorosamente da qualsiasi atto nocivo dello sposo, al quale è vietato alienarli, perfino col permesso della moglie ; essa ne rimane proprietaria, anche se dall’altra parte viene colpita da una vera e propria incapacità a disporne. Il principio di inalienabilità dotale viene sancito, dopo la morte dello sposo colpevole, dal breve di matrimonio sulla dote diminuita che permette alla vedova di recuperare in natura i beni venduti, che fossero detenuti o comprati da estranei. Se è vedova, la donna rimane solo l’erede del marito, per cui può ricevere o la terza parte o metà dei mobili, a seconda dei figli. Gode inoltre, col nome di dotario, del terzo dei beni dello sposo. Per quanto riguarda il vedovo, egli è usufruttuario fino alle morte di tutti quanti i beni della sposa ; questo diritto di vedovanza lo pone al primo posto, a detrimento degli eredi della moglie (i figli, il più delle volte).

J. Musset
Université de Caen

 

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